Maria Grazia Cioffi Bassi

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23 Settembre 2020

«A volte il traguardo non è subito dietro l’angolo e anzi cinquant’anni fa non lo si vedeva neppure, ma qualcuno ci ha creduto e io insieme a loro: riuscire a far capire che le persone con disabilità hanno diritto ad una vita il più possibile normale». Maria Grazia Cioffi Bassi oggi ritiene di aver vinto la sfida. «Mio figlio è felice». Ma allora, nei primi anni Ottanta, c’era una montagna da scalare: pregiudizi, difficoltà burocratiche, protocolli sanitari non definiti, risposte inadeguate per i piccoli con la sindrome di Down che fino ad allora erano stati emarginati come frutto del peccato, una vergogna di cui evitare di parlare. «Al Centro Italiano Down di Genova già da tempo li seguivano in un percorso fisioterapico e riabilitativo, ma Genova era lontana e non si poteva aspettare».
Insieme ad altri genitori, Maria Grazia chiede medici preparati e operatori che volessero crescere insieme alle famiglie, e bussa, bussa finché non ottiene le prime risposte. «Eravamo un piccolo gruppo di genitori consapevoli delle difficoltà, ma con una forza d’animo che solo i nostri bambini potevano darci. Mario, infatti, ha migliorato la nostra visione del mondo e delle priorità».

 

Da genitore responsabile del “Centro Piccoli Down” (dal 2001 “Il Paese di Oz”) e di altri centri riabilitativi aperti nel frattempo, Maria Grazia ricorda quanto fosse importante e necessario l’incontro con le famiglie. «Perché l’Associazione era una famiglia. Essendo ancora un numero limitato, c’era la possibilità di discutere e ascoltare il parere di tutti». E così il traguardo incominciava a prendere forma. «“Il Paese di Oz” è cresciuto con i bambini e si è evoluto perché entrando alle medie, i nostri figli difficilmente riuscivano ad instaurare un’amicizia con i nuovi compagni che di solito non sapevano nulla di disabilità; non si accettavano né venivano accettati. Il “Cresciamo insieme” è stato progettato per permettere a loro uno spazio dove ritrovarsi e affrontare argomenti come la propria disabilità che altrimenti sarebbero passati sotto silenzio causando problemi e difficoltà ulteriori. Fino a quel momento nessuno aveva spiegato loro che cos’è la sindrome di Down e che cosa comporta. Per alcuni saperlo è stato uno choc, ma per la maggior parte di loro è stata una specie di chiarificazione liberatoria come dire se sono così c’è un perché. È stato l’inizio del loro cammino verso l’accettazione e la maggiore autonomia possibile».

 

Dal ’92 al ’95 vicepresidente a fianco del presidente Enrico Pancheri e tre anni dopo,nel 1998, il passaggio alla presidenza con obiettivi fin da subito chiari: «Diventare autonomi dalla sede nazionale di Roma per evitare di essere travolti da un’amministrazione non sempre trasparente, diversificare l’offerta dei servizi, investire sulla formazione professionale tentando un primo accompagnamento di alcuni nostri “ragazzi” nel mondo del lavoro non protetto e muovere i primi passi nella direzione del “Dopo di noi” aprendo le prime comunità alloggio, la risposta più simile alla famiglia per coloro che hanno i genitori anziani non più in grado di accudirli o sono rimasti senza nessuno che possa prendersi cura di loro».
Obiettivi declinati in sette note distintive, una sorta di manifesto di Anffas Trentino a distanza di anni sempre attuale perché ne è l’anima. E dunque «Anffas come luogo di incontro tra famiglie che vivono il problema della disabilità perché confrontandosi ci si sente compresi, e non più da soli, e perché nel sostegno reciproco si rafforza lo spirito dell’associazione. Anffas come luogo di accoglienza dei ragazzi nei centri e nelle comunità alloggio con un’attenzione reale alla bellezza che ognuno ha in sé; Anffas come luogo di servizi tenendo conto dei limiti imposti dalle risorse, ma utilizzando al meglio le possibilità che tuttora ci sono; come luogo di ricerca continua finalizzata a migliorare la qualità e le prospettive di vita dei nostri ragazzi; come luogo di unità sul territorio provinciale e nazionale perché la disabilità è un problema  che potenzialmente interessa tutti e a cui tutti devono e possono cercare una risposta. E quindi Anffas come luogo politico e di confronto».

 

Quattordici anni alla guida di Anffas Trentino con la partecipazione anche al Consiglio Direttivo Nazionale, un lavoro intenso e costante ufficialmente riconosciuto nel 2013 con la consegna della Rosa d’Oro, la massima onorificenza dell’Anffas nazionale, in occasione dell’assemblea nazionale dell’associazione per la prima volta in cinquant’anni a Trento. «Non una mamma speciale, ma una mamma con un figlio speciale» e il riconoscimento condiviso con le famiglie dei bambini, ragazzi, giovani e adulti di cui la rosa rappresenta la fragilità e il valore mentre l’onorevole Lorenzo Dellai ha sottolineato «il merito di aver trasformato l’associazione in una co-protagonista delle politiche della comunità».