“Vogliamo una società inclusiva”

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14 Maggio 2014

Venerdì 9 maggio si è celebrata l’Assemblea dei Soci di Anffas Trentino. Pubblichiamo la relazione del presidente Luciano Enderle. 

Permettetemi, prima di iniziare, un ricordo sincero e affettuoso per tutte le persone che purtroppo ci hanno lasciato.
Vorrei dedicare un pensiero speciale ai nostri ragazzi, con i quali abbiamo percorso un tratto di strada: a Daniela Casagrande scomparsa lo scorso giugno, a Nicola Frenez e Stefano Coletti che se ne sono andati prematuramente poche settimane fa, lasciando un grande vuoto.
Un ricordo a Isidoro Brugnolli che ci ha lasciato improvvisamente esattamente una settimana fa e che è stato per anni revisore di questa associazione.
Un ricordo inoltre a tre figure importanti che hanno dato lustro alla nostra Associazione: Adele Cioffi, sorella della nostra Presidente Onoraria, assidua e generosa volontaria, Eleonora Giovannini, anima storica di Casa Serena e Sandro Postal, prezioso ed insostituibile collaboratore di Anffas fin dagli inizi della nostra storia in Trentino.
Non eravamo pronti a vederli partire. Vogliamo dir loro grazie di cuore per aver sempre guardato ai nostri figli come ai loro figli, prendendosene cura con infinita pazienza e amore.

Cari Soci, Famiglie, Autorità,
siate i benvenuti a quest’Assemblea, che ci vede riuniti, come ogni anno, per fare il punto della situazione nel lungo cammino che da 49 anni stiamo percorrendo, con tenacia e convinzione, per assicurare opportunità, serenità e benessere alle persone con disabilità intellettiva ed alle loro famiglie.
Vorrei aprire il mio intervento con una domanda che può sembrare impegnativa e di difficile soluzione. Chiedo a voi: dove iniziano i diritti umani universali?
Eleanor Roosvelt, moglie del Presidente americano Franklin Roosvelt, apprezzata e conosciuta per il suo costante impegno a favore dei diritti umani rispose che i diritti universali iniziano “in piccoli luoghi, vicino a casa, così vicini e così piccoli che non si possono vedere su nessuna carta del mondo. Eppure si tratta del mondo della singola persona, il vicinato in cui vive, la scuola o università che frequenta, la fabbrica, la ditta o l’ufficio in cui lavora. Questi sono i luoghi in cui ogni uomo, donna e bambino cercano giustizia, opportunità e dignità uguali, senza discriminazione. A meno che questi diritti non abbiano un significato in questi ambiti, essi avranno poco significato altrove”.
L’anno prossimo Anffas Trentino compirà 50 anni, esattamente nel giorno in cui fu approvata la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, di cui Eleanor Roosvelt fu tra i promotori più convinti.
In tutti questi anni di presenza sul territorio trentino, abbiamo lavorato instancabilmente con un unico obiettivo: favorire l’inclusione sociale dei nostri figli a partire proprio da quei luoghi piccoli e vicini a casa, invisibili sulla carta geografica di cui parla E. Roosvelt.
Non si è trattato di un percorso semplice, né lineare: abbiamo dovuto affrontare pregiudizi e timori della prima ora, riuscendo però a dimostrare che i nostri figli sono fratelli di tutti gli altri bambini, giovani ed adulti che vivono questo territorio e che come loro, devono godere delle medesime opportunità.
Nonostante le fisiologiche e temporanee battute di arresto e le difficoltà che via via ci siamo trovati ad affrontare, possiamo dichiaraci soddisfatti di quanto fatto per il bene delle persone con disabilità intellettiva.
Proprio in virtù delle conquiste ottenute nel corso degli anni, eravamo sinceramente convinti che indietro non si potesse più tornare.
Purtroppo, i segnali giunti in questi ultimi mesi ci preoccupano e un po’ ci sconfortano.
Del difficile e delicato momento che ci saremmo trovati ad affrontare, abbiamo cominciato a discutere già dall’Assemblea del 2009.
Pur con comprensibili timori legati al futuro, confidavamo che attraverso il dialogo e il confronto con le forze politiche, sarebbe stato possibile superare le difficoltà derivanti dalla perdurante congiuntura economica negativa.
Stiamo però assistendo ad una serie di manovre inusuali ed “al limite” che hanno conseguenze e riflessi pesantissimi sul quotidiano delle famiglie.
Le viviamo come segnali preoccupanti e pericolosi di erosione e ridimensionamento dei servizi a sostegno di bisogni, di perdita di valori tipici della società trentina, di derive impreviste in una terra storicamente votata all’assistenza e all’aiuto al prossimo.
Già lo scorso anno affermai che la crisi doveva essere l’opportunità per rimettere nel giusto ordine i valori di riferimento.
Devo purtroppo constatare che ciò non sta avvenendo, ed anzi, che la situazione sta progressivamente peggiorando.

Desidero portare brevemente alla vostra attenzione alcune cifre indicative dell’assetto socio- demografico intervenuto nell’ultimo quadriennio.
Assistiamo ad un incremento significativo della popolazione straniera (+14.4% negli ultimi quattro anni) che rappresenta oggi quasi il 10% del totale dei residenti.
La quota di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale si attesta attorno al 20%, è cioè aumentata di cinque punti percentuali rispetto al 2009.
Le patologie legate al gioco d’azzardo stanno conoscendo un aumento esponenziale che va dai dieci casi registrati nel 2000 ai quasi 100 casi del 2013 (fonte AMA Trento).
Siamo sempre più anziani. I dati rivelano infatti uno squilibrio generazionale importante, per ogni 100 giovani ci sono 132 anziani.
Constatiamo un incremento progressivo dei BES (Bisogni Educativi Speciali) e dei DSA nelle scuole di ogni ordine e grado.
Queste brevi e certo non esaustive premesse per dimostrare che lo scenario si sta evolvendo molto rapidamente, portando alla luce condizioni di fragilità sempre maggiori. Ciascuna di queste richiede interventi socio – assistenziali complessi e diversificati, che vanno ovviamente ad assommarsi alla necessaria soddisfazione di bisogni già conclamati.
A fronte di un simile panorama, che mostra un incremento dei bisogni e della loro complessità non è corrisposto un conseguente aumento delle risorse a disposizione.
Paradossalmente, all’aumento del disagio sociale prodotto dalla crisi, corrisponde una contrazione reale delle risorse ad esso destinate: è come dire che in tempo di epidemia si blocca o si riduce la spesa sui farmaci, che in tempo di disoccupazione si bloccano o si riducono gli ammortizzatori sociali
Sentiamo dire che è esclusivamente un problema di risorse.
Ma sarà vero? Io Credo di no
E’ principalmente un problema di responsabilità e di scelte politiche perché la disabilità, il disagio sono un fatto sociale, non privato.
Le Istituzioni non devono declinare le proprie responsabilità perché “comunque” ci sono le Cooperative, le Associazioni, c’è Anffas, o qualcun altro che, in un modo o nell’altro, si prende carico di rispondere ai bisogni.
Le frasi del “sì, avete ragione” o del “capisco ma non posso” non bastano, poiché sancire un diritto e non farlo rispettare significa negare quello che si è andati a sancire.
E ricordiamolo i diritti negati producono sempre sofferenza.
Un Paese civile non è quello che assiste indifferente all’incremento delle diseguaglianze sociali, ma quello che si occupa innanzitutto delle persone maggiormente discriminate, emarginate, in difficoltà.
La giustificazione delle scarsità di risorse non ci convince.
Le risorse ci sono ancora, lo vediamo ogni giorno, ma forse sono male allocate.
I tempi sono senz’altro duri: sono tempi di scelte coraggiose in grado di scongiurare il rischio che il disagio sociale si trasformi in emergenza.
Cosa manca oggi al mondo dell’associazionismo e della cooperazione sociale, cosa manca alle nostre famiglie?
Manca la serenità, manca la certezza di potersi affidare ad un sistema che si faccia carico di rispondere con stabilità ai bisogni dei cittadini più deboli.
Noi non possiamo vivere con l’angoscia del domani, non sapendo se ce la faremo tra un mese o se sarà possibile avere risposte tra un anno.
È una condizione che non ci possiamo permettere, perché pone le famiglie in una drammatica condizione di precarietà di vita.
Il problema non sono le persone con disabilità di per se stesse, perché nonostante le loro fatiche, sono persone impegnate, caparbie, che amano la vita.
Il vero problema è la deriva culturale che le sta riportando ad essere di nuovo persone emarginate e discriminate e ciò accade ogni volta che l’Istituzione non si attiva per rimuove gli ostacoli e le condizioni che impediscono a queste persone il reale godimento dei loro diritti.
Abbiamo già avuto modo di dire che, in tempi di crisi, l’ottimizzazione dei costi è un obiettivo condivisibile.
Ricordo peraltro che la nostra parte in questo senso l’abbiamo già fatta negli anni passati, riorganizzando i servizi e ristrutturando i salari.
Con però fermo l’obiettivo di mantenere servizi adeguati, senza intaccarne la qualità.
Ci riconosciamo nella strategia di fondo dichiarata nel riferimento programmatico generale per l’azione del governo provinciale – che ha tra i principali obiettivi “la salvaguardia della qualità della vita in tutte le sue complesse valenze”.
Alla luce di tale dichiarazione, come si spiegano però le sempre più frequenti posizioni dell’Ente Pubblico che con le attuali manovre sta creando non solo un impoverimento dei valori della nostra terra, ma anche una ingiusta competizione tra i fruitori dei servizi socio – assistenziali?
Credo che difendere l’Autonomia provinciale significhi affermare, nelle azioni prima ancora che nelle parole, la sua originalità, che trova proprio nel Terzo Settore l’attore capace di fare da cerniera tra il sistema pubblico e i mondi vitali della famiglia e dei cittadini.
Noi proviamo ad essere quel mondo lì, fatto di società, impegno, volontariato, associazionismo, storia, tradizione, fatica ma anche di etica.
Pare non sia poi del tutto superfluo ricordare che quando si parla di persone non esistono cataloghi o classifiche: minori, anziani, immigrati, persone con disabilità, tutti, hanno il diritto di ricevere, indistintamente, l’aiuto e l’assistenza di cui necessitano come deve garantire una società equa, inclusiva e giusta.
Papa Francesco, la persona più autorevole ed amata della storia recente, con la quale abbiamo il privilegio di vivere da contemporanei, ha individuato quale sia oggi la vera patologia che affligge la nostra società.
Questa malattia si chiama “globalizzazione dell’indifferenza”, ovvero quell’atteggiamento disinteressato che porta all’affermazione dell’individualismo, dell’emarginazione sociale, alla “cultura dello scarto”.
Quello del Papa è un campanello d’allarme che non è possibile sottovalutare.
Per una buona società serve una buona politica.
Una politica umana, che sappia dimostrare che, nonostante le difficoltà economiche, esistono valori e diritti che non si negoziano.
Allo stato attuale invece, rileviamo nei territori profonde e ingiustificate iniquità, situazioni al limite non solo della tollerabilità umana, ma addirittura della legalità.
Abbiamo la netta sensazione, come dice Bauman, “che vengano giocati molti giochi contemporaneamente e che durante il gioco cambino le regole di ciascuno.”
Attenzione, i giochi a cui stiamo giocando si chiamano diritti, vita, dignità, benessere, futuro; le pedine che stiamo utilizzando bambini, giovani, adulti, anziani con disabilità.
L’avvento delle Comunità di Valle ha significato per noi la necessità, oramai pressoché quotidiana, di affrontare interlocutori non solo di diversa estrazione e preparazione, ma spesso di opposta sensibilità e cultura.
Con frequenza crescente assistiamo infatti in contesti ufficiali ad affermazioni gravi che indicano le persone con disabilità e le rispettive famiglie come privilegiati.
Noi saremmo dei privilegiati!
Noi siamo gente comune che, oltre alle difficoltà che oggi toccano gran parte della famiglie (crisi, lavoro, salute, impegni finanziari), viviamo una situazione di maggior fragilità e di maggior carico.
Le nostre famiglie sanno cosa significa accudire una persona con disabilità per tutta la vita: stiamo parlando di difficoltà e sacrifici che vanno a stravolgere un nucleo familiare. Per questo, l’appellativo privilegiati ci offende profondamente.
Non sono privilegi che chiediamo. Siamo da tempo impegnati a contrastare la monetizzazione della disabilità, in termini risarcitori, che consideriamo uno strumento di sostegno inadeguato, non solo perché scarica l’Ente Pubblico dall’obbligo di fornire servizi di qualità, ma anche perché si ripercuote sulla serenità e sul benessere del nucleo familiare, per la cui tenuta nel tempo sono necessari sollievo fisico e mentale.
Non è il denaro che chiediamo, ma la garanzia di un buon servizio.
Mi accade invece con crescente frequenza di incontrare famiglie disperate a causa:
di ritiro o riduzione delle giornate di presenza nei servizi;
di espulsione e trasferimento in contesti inadeguati (es. casa di riposo, realtà a vocazione psichiatrica) senza istruttorie o strumenti di valutazione delle capacità e competenze, ma solo sulla base di criteri anagrafici o peggio ancora di minor prezzo;
di negazione delle richieste di sollievo in situazioni di assoluta emergenza;
di tempi di risposta con attese insostenibili.
Sono queste solo alcune delle tante derive che dal nostro osservatorio registriamo e che abbiamo ritenuto doveroso segnalare già in diverse occasioni.
Stanno passando come strategie di contenimento della spesa.
Noi le qualifichiamo come scarsa attenzione alla famiglia, mancata considerazione dei bisogni sociali, violazione o comunque importante ridimensionamento dei diritti legati al progetto di vita di ognuna delle 700 persone di cui ci occupiamo.
Tematiche quali l’inclusione scolastica e lavorativa, l’accesso alla formazione ed informazione, i livelli essenziali, la qualità della vita, la non discriminazione, da sempre fondamentali quando si parla di disabilità, oggi non trovano più spazio sui tavoli politico-istituzionali.
Peraltro, se l’intenzione è quella di guardare al puro contenimento della spesa, invito a riflettere sul valore economico generato dal Terzo Settore, dove per ogni 100 Euro investiti, 70 finiscono in lavoro dipendente, con conseguente restituzione di imposizione fiscale certa.
Sono fermamente convinto che la soppressione o la riduzione dei servizi alla persona costituisca una strategia miope che genera un risparmio estemporaneo e fittizio, in quanto, i costi indiretti delle non – politiche sociali finiranno per conoscere nel medio e lungo periodo un’impennata che amplificherà gli stessi costi in modo rilevante.
Pare stia arrivando anche in questo nostro Trentino, la formula tipica “all’italiana”, secondo la quale per risparmiare oggi, si rischia di intervenire in emergenza domani, con soluzioni tampone che creano sì risultati nell’immediato, ma che non garantiscono interventi risolutivi, organici e strutturati.
Il primo pericoloso segnale dell’attuazione di questa strategia è la non intercettazione della domanda: se il Servizio Sociale, a prescindere dalle risorse, almeno non intercetta e registra il bisogno, perderà il polso della situazione rispetto ad un fenomeno che diverrà in breve tempo esplosivo!
Credo sia legittimo il nostro monito, perché vediamo involvere a poco a poco molto di ciò che abbiamo contribuito a costruire con impegno e fatica in quasi 50 anni.
Il nostro modus operandi non ha infatti mai contemplato quella che può essere definita come “la strategia del mugugno”, perché alla segnalazione di un problema, è sempre corrisposta, da parte nostra, la ricerca attiva di una soluzione.
Sembra che, più dei nostri figli, siano oggi le Istituzioni ad essere portatrici di disabilità, in quanto sorde e cieche alle nostre sollecitazioni, inviti e appelli, con un crescente disarmante ping-pong di responsabilità da un’Istituzione all’altra, all’infinito.
Siamo pienamente consapevoli che la sostenibilità di un servizio non è solo un problema economico, ma anche e soprattutto etico e morale. Significati talmente pregnanti questi, da non poter essere tenuti in considerazione.
Ogni nostro collaboratore avverte infatti forte il senso di responsabilità rispetto alle persone di cui si prende cura ed assieme a loro condivide la preoccupazione di non riuscire a dare risposte ai crescenti bisogni.
Chi ci conosce sa come operiamo, sa che siamo noi i primi testimoni di uno sforzo, di un tentativo di mediazione, ma sa anche che c’è una cosa dinanzi alla quale non vogliamo cedere mai: la possibilità di offrire alle persone che assistiamo una vita di qualità.
Dietro ad ogni nostra richiesta sta il vissuto personale di una famiglia, il desiderio di vivere una vita serena e dignitosa, la speranza di affidare un figlio a chi sappia prendersene cura.
Continuiamo a considerare ognuna delle persone delle quali ci prendiamo cura unica, lavoriamo per realizzare la comunità di tutti i cittadini, siano essi con disabilità e non.
Se vogliamo puntare al risparmio, cominciamo ad individuare gli interventi che non funzionano, convogliando le risorse pubbliche verso quelli che dimostrano invece di essere efficaci!
Anffas Trentino non si astiene dal mettersi in gioco e si dichiara disponibile a ragionare apertamente con la Provincia e le Comunità di Valle per individuare nuove formule e soluzioni alternative condivise per dare servizi e risposte a tutte le persone in questa difficile stagione che stiamo vivendo.
Noi non difendiamo un interesse di bottega.
Il nostro obiettivo più grande e la nostra più viva speranza è arrivare ad un modello di società inclusivo ed accogliente in cui non ci sarà più bisogno di Anffas a tutela dei diritti delle persone con disabilità.
Dai semi sparsi in tutto il territorio trentino abbiamo visto nascere ottimi frutti che ci inducono a ritenere che il percorso intrapreso sia quello giusto per i nostri figli e per le loro famiglie.
Ciò è stato possibile grazie ad una società attenta e sensibile e ad una Provincia forse più ricca, ma anche lungimirante perché nella predisposizione degli interventi e nell’allocazione delle risorse, ha considerato la disabilità non come espressione costosa di un mondo a parte, ma come parte integrante di questo piccolo nostro mondo trentino.
Pensiamoci bene nelle scelte delle politiche del futuro.