Rino Eccher

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23 Settembre 2020

Negli anni Sessanta le classi erano numerose e su trentasei studenti inevitabilmente c’era chi aveva qualche difficoltà, eppure il professor Eccher riusciva a portarli tutti al diploma. A ognuno dei suoi ragazzi, alle scuole medie dove per 39 anni ha insegnato tecnologia, sapeva dare attenzione e considerazione perché per lui il valore della persona era a prescindere dalle abilità, dai talenti e dal rendimento scolastico, sia pure importante. Il valore della persona in quanto tale era alla base della relazione con i suoi allievi prima e con i suoi “ragazzi” di Casa Serena poi.
E proprio partendo da questo, dal valore della persona e dall’interesse per la relazione, il professore, marito e padre di cinque figli, si rimette a studiare per approfondire la psicologia dell’essere umano e diventa psicologo a pieno titolo. Un vantaggio per chi empatico lo è di natura. «La scuola è una situazione pedagogica che richiede sentimento e collaborazione». Non molto diverso da Casa Serena dove Rino Eccher, chiamato a gestirla nel 1983, fa subito squadra. “Vara che qua ghe bisogn de una figura che la sia come mi quando no podo eserghe!”. Eleonora Giovannini, la sua vice, gli resterà accanto fino alla pensione.

 

«Per chi ha avuto la possibilità di conoscerla, Casa Serena era un luogo difficile e complicato sotto il profilo lavorativo. Ricordo che, anche se non avevo piacere che la struttura venisse visitata per rispetto nei confronti dei ragazzi, in occasione dei concorsi per il personale organizzavo una visita guidata per testare la motivazione di chi faceva domanda. Le persone che decidevano di restare si rivelavano sempre operatori capaci e sensibili, qualità indispensabili per poter essere d’aiuto a questi ragazzi e alle loro famiglie». E per poter fare squadra. Parola d’ordine fiducia. E carta bianca dal presidente Pancheri. «Mi premeva attivare, valorizzare e organizzare sempre di più e al meglio le professionalità e fare di Casa Serena un luogo riconosciuto e riconoscibile sul territorio». Annuisce Anna Maria Piva, quarant’anni come operatrice presso la Casa fin da quando era gestita dalle suore. «Anni di duro lavoro fisico e mentale che mi aiutarono a prendere consapevolezza del mondo della diversità e della disabilità, mondo che solo in quegli anni iniziava a chiedere attenzione e risposte alla società». La fiducia lei l’ha sempre sentita e non era un dettaglio. «Quando nel 1983 l’Anffas subentrò nella gestione della struttura, iniziarono ad essere maggiormente divisi e professionalizzati i carichi di lavoro in modo da offrire una risposta qualitativa maggiore ai bisogni individuali. Inoltre il centro fu aperto anche a ragazzi sopra i 14 anni in modo da elaborare un progetto di vita per ognuno di loro. Anni meravigliosi sia dal punto di vista professionale che umano. Tutte le energie erano indirizzate a creare opportunità di vita agli ospiti sia all’interno della residenza, dove l’accudimento e la gestione del tempo libero erano i pilastri del lavoro, che all’esterno con i primi soggiorni al mare a Lignano Sabbiadoro, le gite, i pellegrinaggi a Roma, Loreto e Lourdes».

 

Per il neo direttore è uno dei periodi più impegnativi e altrettanto gratificanti della sua vita lavorativa. Durante le riunioni settimanali del comitato di gestione incontrava la maestra Rapizza, i dottori Fioroni e De Marco e gli operatori specifici e insieme a loro considerava ogni ragazzo dal punto di vista clinico e relazionale. «Il rapporto con le famiglie era fondamentale. Ci riunivamo regolarmente in una sorta di assemblea in modo che i genitori conoscessero l’organizzazione e le novità e potessimo condividere problemi e soluzioni». Dalla condivisione all’apertura delle porte di Casa Serena alla comunità di Cognola il passo è breve. L’obbiettivo era l’avvicinamento delle persone alla disabilità grave affinché avessero l’opportunità di comprendere che è una condizione della vita. «Nessuno può chiamarsi fuori. E il mio invito è stato accolto subito dagli Alpini dell’Argentario, che preparavano polenta e braciole durante gli eventi della Casa, dal Coro Monte Calisio che non ha mai mancato un appuntamento, e dal Coro Piccole Colonne». Anche la Messa della domenica, celebrata da don Antonio Dusini, conosciuto da tutti come “il prete degli ultimi”, era un momento di condivisione con i famigliari. E capitava più di una volta che un genitore volesse lasciare il figlio a Casa Serena e soltanto lì.
«Casa Serena era un luogo difficile anche da un punto di vista strutturale perché era un edificio vecchio e insufficiente ad accogliere nuovi ragazzi e privo di moderne tecnologie di supporto. La mia ultima impresa doveva essere la costruzione della “Nuova Casa Serena”,  esattamente di fronte al vecchio edificio. Ricordo ancora il giorno dell’inaugurazione e del mio formale passaggio di consegne, la commozione e le parole “ades che te hai costruì ‘na Ferrari, te ghe la fai guidar a ‘n altro?!”. Ma tutto ha un inizio e un termine e questo era il mio ultimo obbiettivo, consegnare a un nuovo direttore una “Nuova Casa Serena”».

 

A ricordo dei vent’anni di direzione del professor Eccher, dal 1983 al 2003, sono rimasti l’attestato del “Premio Bontà città di Trento”, consegnato al direttore dall’Unione Nazionale Cavalieri d’Italia, e un tunnel costruito proprio grazie alla determinazione e alla lungimiranza del direttore. Oggi collega la Casa con il parco protetto al di là della strada, un angolo di paradiso verde e fresco dove, soprattutto d’estate, si organizzano i momenti di animazione. Ne sa qualcosa Anna Maria, che da quando è in pensione è referente volontaria del gruppo “Filo filo”. «Con il supporto indispensabile della direzione e del personale ci occupiamo della gestione di tutte le iniziative di quelle persone speciali che sono i volontari. Una risposta da parte mia all’amore, all’accettazione e alla fiducia che gli ospiti e le famiglie del Centro mi hanno dato in tutti questi anni. A loro va il mio ringraziamento per avermi trasmesso e insegnato il modo migliore di affrontare la vita».