Maurizio Cadonna

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23 Settembre 2020

«Tieni d’occhio l’associazione, le famiglie, i ragazzi e il personale». Il mandato del presidente Pancheri era chiarissimo e a distanza di quasi vent’anni Maurizio Cadonna se lo ricorda ancora. Giovane funzionario provinciale con un profilo giuridico amministrativo, arriva quasi per caso alla selezione e la vince portando con sé una visione aziendale di organizzazione non profit. «Tenere insieme un’associazione significa conoscere le persone che vi fanno parte, occuparsi non solo degli utenti ma anche delle loro famiglie, andare ad incontrarle nei centri, ascoltarle, capirne i bisogni; significa anche tenere in considerazione le persone con le quali si lavora senza dimenticare che al di là della professione c’è un mondo e ognuno ha il suo. E poi occorre mediare con i politici per trovare insieme delle risposte».

Era l’ottobre del 1998. Cadonna sarebbe rimasto dieci anni alla guida dell’Anffas con una parentesi romana fondamentale.
«Quella dell’autonomia è stata una partita difficilissima perché eravamo la sezione più numerosa sotto ogni punto di vista: degli ospiti accolti, del personale, del fatturato e della ramificazione territoriale. Di conseguenza il passaggio dei rapporti giuridici, patrimoniali, economici e finanziari si prospettava molto complicato. Così siamo stati noi a proporre la soluzione tecnica». D’accordo con la presidente Bassi, Cadonna si trasferisce a Roma per avviare e portare a compimento il processo che avrebbe portato tutte le 180 sezioni all’autonomia. La sua presenza nella capitale era strategica e il lavoro svolto in quei sette mesi, dal novembre 2002 al giugno 2003, necessario per rimettere le cose a posto. «L’ unica condizione che ho posto è stata di trasferirmi con la mia famiglia. Avevamo due bambine piccole e aspettavamo la terza. Durante la settimana lavoravo sodo. Organizzavo gli incontri con le sezioni nelle salette degli aeroporti in modo da non perdere troppo tempo nelle trasferte. Ho girato tutta Italia, o meglio, tutti gli aeroporti d’Italia, senza grosse difficoltà perché in fin dei conti da Roma in un’ora vai ovunque. Poi, il sabato e la domenica ci godevamo la città». Nonostante i tempi romani non siano i più veloci? «In realtà la sensazione era di avere sempre tempo perché le distanze sono talmente ampie che devi calcolare gli spostamenti. In questo modo ti abitui a gestire i tempi e impari a fare una cosa per volta». E poi, cos’altro? «Lo sguardo sul mondo che a poco a poco abbiamo acquisito come cosa normale, un anelito alla mondialità che a Roma vivi tutti i giorni, ad esempio nell’incontro con mamme di tutte le nazionalità alla scuola materna, mentre nella piccola città di provincia si stenta a mantenerlo».

 

Il 31 marzo 2003 la sezione trentina dell’associazione diventa autonoma, prima fra tutte. «È stato un periodo di grande costruzione di futuro nel quale abbiamo incominciato ad esprimere appieno le nostre potenzialità». Nascono in quegli anni la “Meridiana”,“Casa Satellite” e nuove comunità alloggio. «La presidente immaginava e io realizzavo. Il mio compito era proprio quello di dare forma e concretezza ai pensieri e lavorare in questo modo, insieme alla presidente, al direttivo e agli altri componenti dell’associazione, è stato molto proficuo. La mia modalità di gestire le persone favoriva l’espressione delle capacità di ciascuno ed era finalizzata a dare una struttura organizzativa su tutto il territorio in modo da andare avanti a prescindere dalle persone che occupavano i vari ruoli. Così abbiamo istituito la figura del referente per ogni centro e dei coordinatori perché le famiglie degli utenti hanno bisogno di persone a cui esporre le loro difficoltà e i loro problemi più che di una struttura, di un monolite. Per questo io stesso mi spostavo sul territorio, nei centri periferici. Le famiglie mi stavano a cuore e volevo incontrarle. Per lo stesso motivo, non appena mi era possibile, andavo alle manifestazioni e agli eventi ai quali partecipavano anche loro».

 

L’obiettivo di Cadonna è stato il buon funzionamento dell’azienda in ogni suo aspetto. Nessun rendiconto personale né rapporti di forza, qualche acceso scambio di vedute, quello sì, ma sempre nel rispetto del valore e dei ruoli di ciascuno. E l’associazione ha fatto grandi passi avanti. «A volte sentivo la pressione di tenere insieme le tante componenti. Il direttore generale è una figura di forte sintesi, ha il compito di comunicare che cosa ha in mente e di far capire che l’associazione è un tutt’uno, sviluppando un forte senso di appartenenza. Guai all’uomo solo al comando, occorre il servizio insieme al potere, alla possibilità di fare le cose, occorre motivare le persone.

 

La forza arriva da questa visione e quando andavamo a proporci la sentivo perché non chiedevamo nulla per noi, ma per queste famiglie, per questi giovani e adulti. Mi sentivo molto libero in questo, percepivo la forza delle cose che chiedevo perché dietro ci stavano delle persone. Nelle discussioni mettevamo una carta di peso sul tavolo e non teorie. Si ragionava attorno alle storie delle persone mentre oggi si ragiona attorno a delle carte ed è diventato tutto strumentale al bilancio. A parer mio, invece, si può ragionare solo sul costo delle risposte».

 

Con questo sguardo di insieme, sia pure attento ai particolari, nasce l’associazione dei volontari su iniziativa di uno di loro, Gianluca Primon. «Sentivo che si stavano liberando delle energie e abbiamo lavorato perché anche questa idea trovasse concretezza».
E poi, dopo dieci anni, la proposta inaspettata di una nuova dirigenza, in un altro ambito, a chiusura di un ciclo dove, secondo Cadonna, c’è il tempo per dare il meglio di sé. «È bene che in Anffas ci sia stato un cambio di direzione generale ogni dieci anni circa. Io ho raccolto l’eredità di Renzo Fedrizzi, che ha investito molto sulla formazione professionale, e di Angelo Luigi Sangalli, che ha portato una grande innovazione dal punto di vista psicopedagogico, e ho contribuito al consolidamento dell’associazione soprattutto dal punto di vista giuridico, organizzativo e della valorizzazione delle persone. Poi è arrivato il momento di passare il testimone a Massimiliano Deflorian ed ero pronto a farlo perché sono convinto che questo ricambio permetta di mantenere l’associazione ad alti livelli di innovazione e creatività».
E torna il pensiero alle tante famiglie incontrate, al dolore che innumerevoli volte gli hanno confidato, quello vero. «Famiglie tenaci, che nonostante la grandissima sofferenza continuavano a credere in un futuro migliore. La speranza rinasceva ogni mattina e non si accontentavano di un’interlocuzione facile. “Perché non si può?”».