Francesca Kirchner

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23 Settembre 2020

Fondatrice, presidente dal 1965 al 1970

«Se un’idea è buona va avanti, ma occorre che all’inizio qualcuno spinga». La professoressa Francesca Kirchner non ha dubbi in proposito, mai avuti neppure quando cinquant’anni fa a spingere erano proprio in pochi. «Non possiamo stare qui ad aspettare che qualcuno faccia qualcosa per il mio Paolo e per il tuo Stefano – dice all’amica Maria, compagna di scuola all’elementari. – Tocca a noi incominciare». Francesca sapeva che un ambiente adeguatamente stimolante avrebbe potuto dare dei risultati. Gliel’avevano detto al Besta di Milano, dove aveva portato il suo bambino dopo che si erano manifestate le gravi conseguenze dell’antipolio, e all’Istituto neurologico di Padova. Nessuna promessa, ma una grande speranza.
Quei loro figli disabili non li avrebbero tenuti nascosti in casa, nella vergogna, lontano dagli occhi della gente che facilmente criticava o tirava dritto senza curarsene. No, i loro ragazzi avevano dei diritti e per questo si sarebbero battute, avrebbero percorso nuove strade.

Detto fatto, il primo passo è cercare un luogo dove potersi ritrovare, le famiglie ma soprattutto loro, i figli. «Non sapevamo neppure quanti fossero e abbiamo scoperto che erano tanti, più di quanti non immaginassimo».

Il locale, messo a disposizione dal fratello, non era tanto grande ma più che sufficiente per offrire un luogo dove i ragazzi potessero passare il tempo in modo proficuo. «Ho sempre avuto l’idea che il lavoro fosse fondamentale e che quindi fosse indispensabile mettere questi nostri figli nelle condizioni di fare. Per loro significava svolgere semplici lavoretti, eppure questo bastava perché fossero soddisfatti e avessero una prospettiva».

 

Impegnare i ragazzi significava evitare che rimanessero in casa tutto il giorno senza occupazione e nello stesso tempo non correre il rischio che venissero allontanati dalla famiglia e portati in istituto. La maggior parte di loro, poi, aveva delle abilità e la speranza dei genitori, delle mamme in particolare, di fare in modo che le potessero mettere in pratica era molto forte. Non era l’atteggiamento poco realistico di chi stravede per un figlio, ma la lungimiranza di chi, con i piedi ben piantati per terra, sa vedere oltre.

«Avevo tre figli piccoli e insegnavo, eppure ho deciso di partire lo stesso e mio marito non mi ha ostacolato, anzi mi ha dato tutto l’appoggio necessario per andare tranquilla. Era orgoglioso di quello che facevo. Avevo saputo che a Roma alcune persone avevano fondato un’associazione e stavano facendo quello che avevo in mente di fare io». Occorreva andare a vedere, parlare con loro. «Erano già organizzati e confrontandomi ho capito che si potevano fare grandi cose».

 

L’apporto di Enrico Pancheri, allora presidente della Provincia autonoma di Trento, risulta decisivo, ma è la professoressa a coinvolgerlo e a chiedere il finanziamento necessario per partire più strutturati. «Inizialmente aveva espresso qualche perplessità, ma poi per l’associazione ha fatto moltissimo».

Il primo grande ostacolo che le mamme superano insieme è l’inserimento scolastico. Negli anni Sessanta i bambini con difficoltà, più o meno invalidanti, erano tenuti in disparte. Esistevano le classi speciali, in un primo tempo neppure all’interno dello stesso edificio scolastico, in seguito sezioni rigorosamente distinte. «Riuscire a fare in modo che i bambini potessero stare tutti nella stessa classe con la stessa maestra durante le ore di disegno, di canto e di ginnastica è stato un grande primo passo e tutti gli alunni ne hanno beneficiato. Poi ci siamo date da fare per aprire un laboratorio dove i ragazzi più grandi potessero svolgere piccoli lavori di falegnameria e le ragazze di maglia». Ed è stato un secondo grande passo. «Ciascuno fa quello che può, ma se può deve essere messo nelle condizioni di fare».

 

Francesca Kirchner vive i traumi della vita come opportunità. Rimasta orfana della mamma a 15 anni, si prende cura dei quattro fratelli più piccoli imparando presto ad assumersi grandi responsabilità, una dote che avrebbe speso in seguito anche per l’associazione da lei stessa fondata. «Certo è stato faticoso, ma è pur vero che ho ricevuto tante soddisfazioni. Vedere che mio figlio e altri ragazzi come lui conducono una vita pressoché normale mi ha dato e continua a darmi una grande gioia».